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L’occhio di Vicari sul Ticino che sta cambiando

CORRIERE DEL TICINO / Cinque esposizioni e un’interessante monografia esplorano l’opera del fotografo luganese scomparso nel 2007

Cosa fa sì che un documento fotografico si trasformi in un’opera d’arte degna di essere esposta in un museo? Secondo il grande fotografo francese Henri Cartier-Bresson (1908-2004) l’elemento essenziale di questa trasformazione è la totale libertà d’azione di cui deve godere il fotografo che, solo in quel caso, può essere paragonato a un artista. Niente incarichi forzati né di tipo giornalistico né di tipo commerciale dunque ma un punto di vista assolutamente personale sulla realtà che ci circonda.

Nel caso di Vincenzo Vicari (1911-2007), che di Cartier-Bresson è stato praticamente contemporaneo raggiungendo la sua stessa veneranda età (96 anni), questo assunto sarebbe però destinato a crollare, poiché il fotografo luganese è vissuto quasi esclusivamente di incarichi di ogni tipo: dalle foto di matrimoni alla documentazione di molte delle più importanti opere edilizie e ingegneristiche che hanno mutato il volto del Ticino nel corso del ventesimo secolo, dalla collaborazione con la stampa locale a quella con industrie ed imprese commerciali.

E allora? Vicari non è degno di un museo? No, al contrario, ne è più che degno poiché l’aspetto più sorprendente della sua sconfinata opera è la sua inconfondibile personalità, in grado di emergere in ogni campo del suo lavoro, nonostante sia per l’appunto frutto di incarichi all’interno dei quali non poteva certo dirsi assoluta libero.

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