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Smettiamo di dire che è una guerra

INTERNAZIONALE / Specie in tempi difficili, dovremmo sforzarci di usare parole esatte e di chiamare le cose con il loro nome. 

Le parole che scegliamo per nominare e descrivere i fenomeni possono aiutarci a capirli meglio. E quindi a governarli meglio. Quando però scegliamo parole imprecise o distorte, la comprensione rischia di essere fuorviata. E sono fuorviati i sentimenti, le decisioni e le azioni che ne conseguono. 

Tra l’altro: sulla scelta delle parole che servono per descrivere le cose si gioca anche buona parte della propaganda politica contemporanea. 

Per esempio, quando sceglie di chiamare “virus cinese” il Covid-19, Donald Trump non si limita a proporre un diverso nome per nominare la medesima cosa. Fa, per dirla con George Lakoff, una esplicita operazione di framing, di incorniciatura. Inquadra, cioè, il virus evidenziandone la provenienza, e quindi attribuendone la responsabilità. Del resto, ce lo ricorda il Guardian, Trump è piuttosto abituato a compiere operazioni di framing, e lo fa con (ehm…) un discreto successo.

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